L’articolo 11 della Carta costituzionale italiana e l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite |
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di Iole Natoli
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Leggo continuamente citazioni dell’art. 11 della Costituzione a presunto supporto di interpretazioni parziali e restrittive dello stesso, in relazione alla fornitura di armi da parte dell’Italia all’Ucraina, aggredita dalla Russia. Ritengo che, prima di passare alla
questione per la quale tale articolo viene ossessivamente citato, possa
servire riflettere su un commento che l’ex Presidente della Corte
costituzionale, Giancarlo Coraggio, ha espresso in merito ad alcuni articoli della Costituzione, intervistato da Giovanni Floris su un argomento
diverso da quello che stiamo trattando. |
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Il criterio della complessità, ovvero della necessità di valutare gli articoli non isolatamente ma nel loro rapporto con gli altri, specie se attinenti, rappresenta in effetti la regola. Non si può comprendere appieno un articolo se non nel suo rapporto con l’insieme. Così adotto questo ineliminabile criterio per valutare la questione che qui ci interessa - la liceità o meno dell’invio di armi all’Ucraina in rapporto alla nostra Costituzione - e rilevo che per decidere occorre fare riferimento ad alcuni articoli di essa e a uno della Carta dell’ONU, che ci riguarda inevitabilmente a seguito della ratifica del 1957. Vediamo dunque quali sono gli articoli della nostra Carta Costituzionale da porre in rapporto con l’art. 11. Art. 5. Art. 11. Art. 52. Art. 78. Art. 87. Art. 117, comma 2. Concentriamoci adesso sull’art. 11, che contiene indicazioni specifiche. Art. 11 - L'Italia ripudia
la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali; consente ecc. - con l’art. 52, la necessità della difesa della Patria e del servizio militare; - con l’art. 78, che le Camere possano deliberare lo stato di guerra; - con l’art. 87, che il Presidente della Repubblica debba (dopo la delibera delle Camere) dichiarare lo stato di guerra, assumendo il comando delle forze armate; - con l’art. 117 comma 2, che Lo Stato ha legislazione esclusiva in tema di difesa e Forze armate, sicurezza dello Stato, armi, munizioni ed esplosivi. Risultano esclusi dal secondo comma dell’art. 117 caramelle e cioccolatini, di pertinenza delle attività private dei cittadini di qualsiasi regione italiana. Sostanzialmente, l’art. 11 nella prima parte della sua formulazione esclude che si faccia offesa agli altri popoli ma non tratta la questione della difesa del proprio territorio, cosa che invece è oggetto degli artt. 52, 78, 87 e 117, in rapporto a quanto affermato preliminarmente con l’art. 5: La Repubblica è una e indivisibile. La difesa del territorio e dell’unità nazionale è dunque uno dei capisaldi della nostra Costituzione, che contempla il ricorso alle armi se l’unità nazionale viene posta sotto attacco. In altri termini, la difesa del territorio di uno Stato è considerata un valore assoluto (valore che riguarda il nostro territorio, ma che costituisce anche una lente attraverso cui osservare i conflitti e le guerre nel mondo). Soffermiamoci ora sulla seconda parte della frase dell’art. 11: «L'Italia ripudia la guerra (…) e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Cosa si intende per controversie internazionali? Sicuramente, una “controversia” non
riguarda la possibilità di aggredire un altro Stato (cosa esclusa
dall’intero corpo della Costituzione)
né può riguardare il diritto della difesa, che infatti è trattato come
elemento a parte e specifico. Possiamo
anche affermare che non riguarda in nessun caso una condizione di guerra già
attiva, ma serie divergenze di opinioni in merito a questioni di vario
genere (territoriali, economiche o altro) che rivestono particolare
importanza per le parti che in essa si contrappongono. Art. 10 Art. 80
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Libere riflessioni asistematiche su questioni e accadimenti politici
domenica 24 aprile 2022
È coerente con la Costituzione italiana inviare armi difensive all’Ucraina?
mercoledì 20 aprile 2022
PROPOSTA per un TENTATIVO DI PACE tra RUSSIA e UCRAINA / Petizione
FERMARE LA GUERRA / IMMAGINARE LA PACE |
di Iole Natoli
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Firma la Petizione 18.04.2022 PREMESSA Dati i tempi lunghi per la raccolta delle adesioni e i tempi stretti di cui si dispone per evitare che la guerra incancrenisca o si trasformi in guerra mondiale, ho già inviato l’8 aprile via Twitter e per mail il testo che segue, nelle sue linee essenziali, ai decisori, riservandomi di notificare loro la petizione con cadenza più o meno quindicinale, a seconda dell’incremento delle firme. ________________________________________________ Il 3 aprile 2022, giorno della strage di Bucha, Cecilia Strada ha indicato la necessità di un’assemblea PERMANENTE del Consiglio di sicurezza dell'ONU per individuare una soluzione alla guerra. Stupisce il fatto che tale iniziativa non sia stata presa immediatamente. Io e quanto meno alcuni di coloro che aderiranno a questa petizione non
abbiamo esperienza di relazioni internazionali, di strategie militari e di
diplomazie di un qualche tipo. Anche le cittadine e i cittadini comuni però
pensano e si sentono inquiete e inquieti per il protrarsi di una guerra che,
come tutte le guerre, è insensata e per di più fortemente feroce. In qualità
di cittadina italiana che la guerra decisamente la odia, provo a formulare
una proposta che a me, ad altre e ad altri, appare in tutto o in parte
utilizzabile. P R O P O S T A L’attacco all’Ucraina è stato spiegato da Putin con due motivazioni diverse: · una è il progressivo allargamento della NATO sino a comprendere territori dell’Europa dell’Est; · un’altra il conflitto nel Donbass tra ucraini antirussi e ucraini filorussi che ha prodotto già in passato morti e stragi. Il presidente russo, che pure ha spesso espresso valutazioni tali da far emergere senza troppi veli la sua vena di espansionismo sugli ex territori dell’URSS che non rientrino nella Federazione russa, per mire di potere e/o ideologie mistico-culturali, UFFICIALMENTE si attesta su questi due fattori e ciò porta a desumere che, SE opportunamente risolti, la guerra dovrebbe potersi considerare finita, con plauso interno assicurato per lui e immagine parzialmente rilucidata all’esterno. Questo dovrebbe altresì comportare, per logica, la restituzione all’Ucraina dei territori occupati, probabilmente anche della Crimea la cui annessione motivatamente non è stata riconosciuta a livello internazionale, in quanto attuata senza il consenso dell’Ucraina. “Ma come, uno va a fare una guerra, la vince” - cosa ancora da stabilire, a meno che Putin non ricorra alle armi nucleari tattiche - “e se ne va senza portare nulla a casa?”, hanno obiettato alcune persone sui social. Probabilmente il punto debole di questa formulazione sta nel ritenere che ciò che Putin potrebbe/dovrebbe portare a casa debba coincidere necessariamente con i territori occupati. Dobbiamo continuare a ritenere “normale” la spartizione dei territori
tra potenze vincitrici, possiamo ancora una volta considerare le persone come
pedine di una scacchiera, da spostare di qua o di là a seconda dei successi
militari? Nei territori ucraini occupati vivono ucraini-filoucraini e
ucraini-filorussi, non ancora decimati nel corso dell’invasione. I territori
sono di chi li abita e non del primo vicino che li invade. Nell’interesse non solo dell’Ucraina ma di
chiunque, pertanto anche della Russia, ciò che bisognerebbe offrire a Putin è
qualcos’altro, qualcosa che discenda direttamente dalle sue motivazioni
ufficiali, smentendo le quali smentirebbe dinanzi al mondo se
stesso, con ricadute immediate e/o future estremamente negative per la sua
immagine. In altri termini,
prendiamolo in parola e proviamo a vedere cosa fa. Un Trattato di Pace che prevedesse la cessione di Donbass, Crimea e di
qualsiasi altra zona del territorio ucraino costituirebbe una legittimazione della guerra d’invasione, che
rappresenta una precisa violazione del diritto internazionale
e finirebbe con l’incoraggiare la Russia a compiere analoghe violazioni
future a danno di altri Stati (ipotesi non remota). Le truppe russe
dovrebbero abbandonare l’Ucraina; i territori ucraini dovrebbero rimanere
all’Ucraina e non soltanto per
desiderio di questo Stato ma a garanzia della funzione attribuita al diritto
internazionale (funzione che ne costituisce il fondamento),
con l’inclusione inderogabile e dall’esecuzione certa, però, nel trattato di
quasi tutte le misure che costituivano il protocollo di Minsk II, che si dice
non sia stato realizzato anche perché nessuna delle parti in causa si
decideva a portar via per prima le proprie forze armate e che fra le tante
clausole previste comprendeva il
bilinguismo e lo scioglimento di TUTTE le milizie filoucraine
e filorusse. Quest’ultima misura dovrebbe prevedere anche il divieto di riorganizzazione successiva delle
milizie, di qualsiasi appartenenza, che abbiano fin qui agito
nel Donbass o in altre zone dell’Ucraina, il mancato rispetto del quale farebbe decadere l’impunità prevista da
detti accordi per eventuali crimini commessi, portando i
soggetti appartenenti alle milizie ricostituite a risponderne immediatamente
in tribunale. Inoltre, gli appartenenti esteri a milizie combattenti per
l’una o per l’altra parte dovrebbero essere espulsi da tutto il territorio
ucraino, non avendo alcuna legittimazione a rimanervi. Già questa parte del trattato servirebbe all’Ucraina, consentendo una pacificazione interna necessaria, e al tempo stesso potrebbe essere comodamente spesa in Russia da Putin, come giustificazione ed effetto del suo intervento militare. L’Ucraina per sua parte dovrebbe rinunciare a chiedere l’ingresso nella NATO – cosa che buona parte della popolazione non vuole e che potrebbe suscitare tanto malcontento da porre a rischio la stabilità del governo in una situazione post bellica, se non opportunamente bilanciata quanto meno dalla mancata cessione dei territori - e accettare di non attivare esercitazioni militari diverse da quelle relative all’addestramento del suo esercito, con esclusione dunque di presenze. In cambio, dovrebbe ovviamente ricevere garanzie di non invasione a opera della Russia, con la violazione delle quali l’inclusione dell’Ucraina nella NATO dovrebbe divenire automatica. La richiesta delle garanzie è più che comprensibile e va accolta, perché la Russia ha violato il Memorandum di Budapest del 1994 ben due volte: nel 2014 con l’invasione della Crimea e nell’anno corrente,con l’invasione dell’intera Ucraina. Il Trattato di Pace, inoltre, dovrebbe contemplare anche un accordo diretto tra la Federazione Russa e la NATO di non ulteriore allargamento delle reciproche alleanze militari verso altre zone di confine tra le due parti (attuali e future, qualora qualche Stato dovesse un giorno ritirarsi dall'Alleanza) e di non superamento dei confini ucraini esistenti prima dell’inizio della “operazione specialissima” russa. Accordo la cui violazione unilaterale porterebbe quale conseguenza la legittimazione di strategie militari diverse e perfino opposte a quelle contemplate nel Trattato di Pace. Anche questo risultato potrebbe essere rivendicato da Putin come un successo dell’operazione militare attuata (leggasi guerra), a beneficio della sua credibilità personale. Qui sorge però qualche difficoltà, determinata dal contenuto degli artt. 10 e 11 del Trattato NATO. L’articolo 10 stabilisce al 1° comma che «Le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell'Atlantico settentrionale». Al di là delle richieste di adesione e/o degli inviti ad aderire, sarebbe piuttosto difficile asserire che in una condizione di nuova invasione – quale sarebbe la violazione del Trattato di pace comprendente l’accordo NATO-RUSSIA sopra considerato - l’inclusione immediata dell’Ucraina o di altro Stato non appartenente alla NATO, ma confinante con i territori dell’Alleanza, contribuirebbe «alla sicurezza della regione dell'Atlantico settentrionale». Si potrebbe provare a bypassare la difficoltà, asserendo che la mancata adesione alla NATO di un qualsiasi Stato di confine porrebbe a rischio la sicurezza della NATO, in quanto un’invasione porterebbe ancora una volta una guerra non governabile a ridosso dell’Alleanza atlantica, laddove l’adesione lampo all’Alleanza costituirebbe un valido invito alla Russia ad abbandonare precipitosamente i territori indebitamente occupati. La seconda difficoltà sta proprio nelle procedure di adesione come illustrate dall’art. 11, che, prevedendo una serie di adempimenti contrastano con la necessità di intervenire a stretto giro di risposta per bloccare l’invasione sul nascere. Insomma, è pensabile che la NATO debba aggiornare il suo statuto, per poter fronteggiare adeguatamente il rischio che un’eventuale violazione da parte della Russia del Trattato di Pace da stabilire su ipotizzato comporterebbe e dovrebbe farlo PRIMA di proporre tale Trattato, cioè adesso perché non c’è tempo da perdere. Infine, ultimo punto della proposta, il ritiro delle sanzioni dovrebbe prevedere quale condizione
ineliminabile la partecipazione della Russia alle spese necessarie per la
ricostruzione dell’economia ucraina a fronte delle perdite
materiali da questa subite, presentandola però non come misura punitiva ma come dimostrazione
della volontà di pacificazione e di “benevolenza umana” verso
la popolazione ucraina sopravvissuta. Partecipazione che dovrebbe essere
estesa a tutti i Paesi aderenti alla NATO (che
probabilmente non ha dialogato efficacemente con Putin PRIMA dello scoppio
della guerra), in percentuali opportunamente valutate. Se ben
spesa, anche questa “magnanimità”
dimostrata potrebbe procurare a Putin consensi interni e dunque apparirgli
accettabile, tanto più che il ritiro delle sanzioni sarebbe
visto con estremo sollievo dalla popolazione russa e anche da lui. Qualcuno potrebbe obiettare “Ma come, proprio adesso che la NATO sembra manifestare l’intenzione di accogliere nell’Alleanza la Svezia e, cosa più importante, la Finlandia, proviamo a dire che la NATO non si estenderà verso altre zone di confine tra le due parti? È un controsenso!”. No, non lo è. Potrebbe, anzi dovrebbe, far parte della trattativa. Se la Federazione russa aderisce al Trattato di Pace e successivamente non lo viola allora non se ne fa niente, altrimenti subito dentro! Insomma, da un Presidente che varca in armi i confini di uno Stato non suo, non rispetta la vita dei civili e passa il tempo a minacciare a destra e a manca, ci si aspetta seriamente che addivenga a qualcosa senza che si trovi a valutare il danno considerevole che gli deriverebbe dal non aderire? Occorre rendersi conto di qualcosa che sembra sfuggire ai più. Un accordo di pace non solo deve coinvolgere tutte le parti in causa, quelle evidenti e quelle meno dichiarate, ma deve contenere misure che rassicurino concretamente gli “attori”, volontari o trascinati per i capelli, di questo dannosissimo conflitto. Ci si preoccupa di “dare una via di uscita a Putin” ma vanno valutate necessariamente anche le condizioni in cui si troverà DOPO l’Ucraina, perché condizioni di pace eccessivamente contrastanti rispetto al volere della popolazione apparirebbero una sorta di tradimento e genererebbero un’instabilità interna pericolosa, a cui non si potrebbe ovviare solo mediante un eventuale cambio dei vertici. E Zelensky questo lo ha capito benissimo. Ci si può attendere un accordo immediato? Probabilmente no e non solo per i tempi occorrenti per l’aggiornamento dello statuto della NATO di cui si è già scritto. Si può premere per ottenerlo al più presto possibile? Probabilmente sì. Occorrerà agire nel momento più adatto, quando ciò che Putin ha perso in termini di vite umane e di prestigio esterno è divenuto già considerevole e quel che ha ottenuto realmente sul campo assume un valore minimo, anche se si tratta di un territorio chiamato Donbass, eventualmente col corridoio che unisce alla Crimea. Bisogna rendere quel momento il più vicino possibile e per farlo e occorre modificare in primo luogo il linguaggio. DECISORI © Iole Natoli _____________________________________ |
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giovedì 7 aprile 2022
ANNO 2022 - GUERRA DELLA RUSSIA ALL'UCRAINA - IMMAGINARE UNO SCENARIO DI PACE
COSA PROPORRE PER UN TENTATIVO DI PACE TRA RUSSIA E UCRAINA? |
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di Iole Natoli |
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Il 3 aprile 2022, giorno della strage di Bucha, Cecilia Strada ha indicato la necessità di un’assemblea PERMANENTE del Consiglio di sicurezza dell'ONU per individuare una soluzione alla guerra. Stupisce il fatto che tale iniziativa non sia stata presa immediatamente. Io e quanto meno alcuni di coloro che aderiranno alla petizione che mi riservo eventualmente di lanciare non abbiamo esperienza di relazioni internazionali, di strategie militari e di diplomazie di un qualche tipo. Anche le cittadine e i cittadini comuni però pensano e si sentono inquiete e inquieti per il protrarsi di una guerra che, come tutte le guerre, è insensata e che per di più è fortemente feroce. In qualità di cittadina italiana che la guerra decisamente la odia, provo a formulare una proposta, che a me appare utilizzabile e che potrà apparire forse tale ad altre e ad altri. Esiste la richiesta di considerare Putin e i militari da lui posti in campo colpevoli di crimini di guerra. È un’iniziativa legittima, ma che richiede valutazioni giuridico-specialistiche estranee alla presente esposizione, il cui scopo è solamente di tentare di fermare l’eccidio, in un modo che possa essere accettato sia dalla Russia sia dall'Ucraina. P R O P O S T A L’attacco all’Ucraina è stato spiegato da Putin con due motivazioni diverse: · una è il progressivo allargamento della NATO sino a comprendere territori dell’Europa dell’Est; · un’altra il conflitto nel Donbass tra ucraini antirussi e ucraini filorussi che ha prodotto già in passato morti e stragi. Il presidente russo, che pure ha spesso espresso valutazioni tali da far emergere la sua vena all’espansionismo sugli ex territori dell’URSS che non rientrino nella Federazione russa, UFFICIALMENTE si attesta su questi due fattori e ciò porta a desumere che, SE opportunamente risolti, la guerra dovrebbe potersi considerare finita, con plauso interno assicurato per lui e immagine parzialmente rilucidata all’esterno. Questo dovrebbe altresì comportare, per logica, la restituzione all’Ucraina di tutti i territori occupati, a cominciare da quella Crimea la cui annessione motivatamente non è stata riconosciuta a livello internazionale, in quanto attuata senza il consenso dell’Ucraina. “Ma come, uno va a fare una guerra, la vince” - cosa ancora da stabilire - “e se ne va senza portare nulla a casa?”, hanno obiettato alcune persone sui social. L’errore di questa formulazione sta nel ritenere che ciò che Putin potrebbe/dovrebbe portare a casa debba coincidere con i territori occupati. Dobbiamo continuare a ritenere “normale” la
spartizione dei territori tra potenze vincenti o ausiliarie, possiamo ancora
una volta considerare le persone come pedine di una scacchiera, da spostare
di qua o di là a seconda dei successi militari? Nei territori ucraini
occupati vivono ucraini-filoucraini e ucraini-filorussi. I territori sono di
chi li abita e non del primo vicino che li invade. Nell’interesse non solo
dell’Ucraina ma di chiunque, pertanto
anche della Russia, ciò che bisognerebbe offrire a Putin è qualcos’altro,
qualcosa che discenda direttamente
dalle sue motivazioni ufficiali, smentendo le quali smentirebbe dinanzi al
mondo se stesso, con ricadute immediate e/o future estremamente negative
per la sua immagine. In altri termini, prendiamolo in parola e proviamo a
vedere che fa. Un Trattato di pace che prevedesse la cessione di Donbass, Crimea e di qualsiasi altra zona del territorio ucraino costituirebbe una legittimazione della guerra d’invasione, che rappresenta una precisa violazione del diritto internazionale e finirebbe con l’incoraggiare la Russia a compiere analoghe violazioni future a danno di altri Stati (ipotesi non remota). I territori ucraini devono necessariamente restare all’Ucraina e non soltanto per desiderio di questo Stato ma a garanzia della funzione attribuita al diritto internazionale (funzione che ne costituisce il fondamento), con l’inclusione inderogabile però nel trattato delle misure che costituivano il protocollo di Minsk II, che fra le tante clausole previste comprendeva anche il bilinguismo e lo scioglimento di TUTTE la milizie filoucraine e filorusse. Quest’ultima misura dovrebbe prevedere anche il divieto di riorganizzazione successiva delle milizie, di qualsiasi appartenenza, che abbiano fin qui agito nel Donbass o in altre zone dell’Ucraina, il mancato rispetto del quale farebbe decadere l’impunità prevista da detti accordi per eventuali crimini commessi, portando i soggetti appartenenti alle milizie ricostituite a risponderne immediatamente in tribunale. Inoltre, gli appartenenti esteri a milizie combattenti per l’una o per l’altra parte dovrebbero essere espulsi da tutto il territorio ucraino, non avendo alcuna legittimazione a rimanervi. Già questa parte del trattato servirebbe all’Ucraina, consentendo una pacificazione interna necessaria, e al tempo stesso potrebbe essere spesa in Russia da Putin come giustificazione ed effetto del suo intervento militare. L’Ucraina per sua parte dovrebbe rinunciare a chiedere l’ingresso nella Nato e accettare di non attivare esercitazioni militari diverse da quelle relative all’addestramento del suo esercito, con esclusione dunque di presenze Nato (cosa che sembra già intenzionata a fare). In cambio, dovrebbe ovviamente ricevere garanzie di non invasione a opera della Russia, con la violazione delle quali l’inclusione dell’Ucraina nella Nato diverrebbe automatica. Il Trattato, inoltre, dovrebbe contemplare anche un accordo diretto tra la Federazione Russa e la Nato di non ulteriore allargamento delle reciproche alleanze militari verso altre zone di confine tra le due parti (attuali e future, qualora qualche Stato dovesse un giorno ritirarsi dall'Alleanza) e di non superamento dei confini ucraini esistenti prima dell’inizio della “operazione specialissima” russa. Accordo la cui violazione unilaterale porterebbe quale conseguenza la legittimazione di strategie militari diverse e perfino opposte a quelle contemplate dall’accordo. Anche questo risultato potrebbe essere rivendicato da Putin come un successo della strategia militare adottata (leggasi guerra), a beneficio della sua credibilità personale. Infine, il ritiro
delle sanzioni dovrebbe prevedere quale condizione ineliminabile la partecipazione della Russia alle
spese necessarie per la ricostruzione dell’economia ucraina a fronte delle
perdite materiali da questa subite, presentandola però non come misura
punitiva ma come dimostrazione della volontà di pacificazione e di
“benevolenza umana” verso la popolazione ucraina sopravvissuta.
Partecipazione che dovrebbe essere estesa a tutti i Paesi aderenti alla Nato (che probabilmente non ha dialogato
efficacemente con Putin PRIMA dello scoppio della guerra), in percentuali
opportunamente valutate. Se ben spesa, anche questa “magnanimità” dimostrata
potrebbe procurare a Putin consensi interni e dunque apparirgli accettabile,
tanto più che il ritiro delle sanzioni sarebbe visto con estremo sollievo
dalla popolazione russa e anche da lui. La presente proposta è un’utopia? Una bozza di accordo improponibile? O per caso si potrebbe tentare? |
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7 aprile 2022
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