Missione a rischio nei pressi di Gaza? / Un’ipotesi
per evitare lo scontro
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Egregio Presidente Mattarella, Come molti, ho ascoltato il Suo importante appello, con cui è stata resa
giustizia all’intento civile e umanitario che anima i membri italiani e
stranieri della Global Sumud Flotilla. Ho apprezzato – e non io soltanto –
che Lei abbia richiamato l’attenzione su quel che potrebbe accadere ai nostri
concittadini imbarcatisi in quella missione, invitandoli a salvaguardare la
propria incolumità. Penso che sarebbe altamente mortificante per l’Italia se solo gli e le italiane tirassero, come suol dirsi, “i remi in barca”, accettando di non portare a totale compimento l’obiettivo prefissato dalla Flotilla. Il popolo italiano ha assunto, non sempre per sua scelta, posizioni un po’ “ondivaghe” in occasione delle due guerre mondiali; ci è stata incollata addosso un’etichetta sgradevole e non del tutto appropriata, che sarebbe preferibile non alimentare. C’è anche il rischio, Signor Presidente, che il Suo appello sia letto erroneamente, all’interno e anche all’estero, come un cedimento alla volontà del governo israeliano di ignorare la Convenzione di Ginevra del 1949 e i successivi Protocolli, anche in merito, nel caso specifico, alla legittimità di un blocco navale che, pur riconosciuta dal diritto internazionale, trova il suo limite – o la sua negazione – nell’accertata carestia imposta alla popolazione palestinese da una guerra indiscriminata e permanente. E allora mi chiedo, Signor Presidente, se non esista la possibilità che ci si rivolga, per le vie a ciò più idonee, al Capo dello stato di Israele, affinché proponga al suo governo un gesto ragionevolmente distensivo. Quale? Per esempio, il seguente. Rappresentanti del governo israeliano potrebbero utilmente affiancare coloro che dovranno consegnare di persona gli aiuti portati dalla Flotillia, autorizzando però preventivamente osservatori delle Nazioni Unite, eventualmente anche il Patriarcato Latino di Gerusalemme ma, in particolare, la stampa internazionale TUTTA, affinché tali persone possano assistere in loco alle operazioni di verifica e di distribuzione diretta del contenuto dei pacchi alla popolazione palestinese, documentando l’andamento di tale consegna con i mezzi a loro disposizione (con quelli, intendo, degli osservatori ONU, dell’eventuale Patriarcato, della stampa internazionale… e non solo del governo israeliano). Potrebbe essere avviata un’iniziativa diplomatica o d’altra natura formale, affinché tale proposta giunga al Capo dello stato d’Israele, che potrebbe per parte sua comunicarla al refrattario Capo del governo? Io non so se la mia proposta sia fattibile o meno. Sono certa però che,
se lo fosse, Lei non esisterebbe a tentare o a suggerir di tentare anche
questa via, per contribuire a risolvere la complessa e pericolosa situazione
attuale. Le porgo i miei migliori saluti, |
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27 Settembre 2025 |
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Libere riflessioni asistematiche su questioni e accadimenti politici
venerdì 26 settembre 2025
#GlobalSumudFlotilla / #GAZA / Lettera al Presidente Mattarella
domenica 14 settembre 2025
MORTE DI #CHARLIEKIRK / UN ASSASSINIO CHE SCONVOLGE L’AMERICA
USA / Omicidio nella comunità
delle armi |
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C’è qualcosa nell’assassinio di Charlie Kirk che mi suscita qualche
interrogativo “vagante”, cioè incerto, non definito ma che si affaccia ugualmente
alla coscienza ed è l’interpretazione puramente politica del gesto omicida di
Tylor Robinson. Ho letto, in una notizia che non sono più riuscita a rintracciare, che il padre del ragazzo era (ed è) un trumpiano, dunque non solo genericamente un “conservatore” ma un convinto sostenitore di Trump e della sua particolare politica. Apparterrebbe per di più alla comunità mormone, la stessa cioè della vittima. Non costituirebbe una novità scoprire che a un padre antifascista si sia
opposto un figlio fascista, o che a un padre fascista si sia contrapposto un
figlio antifascista. Non sarebbe anomalo nemmeno scoprire che a un padre di
una destra radicale si sia opposto un figlio ancora più radicale di lui. La
graduatoria degli estremismi è articolata. Esistono dinamiche interpersonali che creano antagonismi profondi tra genitori e figli, esigenze di differenziazione sentite come ineludibili, moderate o estreme a seconda del contesto familiare. E che il contesto non fosse dei più moderati non lo suggerisce solo la fede trumpiana del padre ma il fatto che l’uso di armi, a quanto pare non rudimentali, era stato permesso e dunque insegnato al ragazzo fin dalla tenera età. Mi vien da pensare che sino a un certo punto della sua esistenza Tylor
Robinson possa aver voluto emulare il padre, che abbia cercato di
assecondarlo sotto ogni aspetto per ottenere la sua approvazione, per poi
esserglisi opposto con veemenza, per una qualche motivazione a noi ignota. Non sempre un genitore riesce ad accorgersi di ciò che va maturando nell'animo di un figlio. Che ciò si sia verificato nel rapporto tra i due Robinson è unicamente un’ipotesi e queste non sempre sono verificabili. Mi chiedo però cosa rappresentasse Charlie Kirk per Tylor Robinson. Solo un probabile perpetuatore della politica trumpiana, un successore dell’attuale presidente, sentito dunque da lui come “pericoloso” sul piano politico per eccesso o per difetto di durezza, o anche un personaggio che riscuoteva, o che potesse riscuotere, l’ammirazione di Robinson padre? In altri termini, il giovane Charlie incarnava agli occhi del giovanissimo Tylor il figlio “stimabile” che Robinson padre avrebbe potuto desiderare? Si dirà - e provo a dirmelo anch’io - che le mie sono solo illazioni che non poggiano su una qualche certezza. Qualcosa in me insiste tuttavia nel suggerirmi che non tutto è lineare come appare. Quel qualcosa è determinato e dalle scritte sui proiettili, che attestano una proiezione psichica sugli oggetti che rasenta un infantilismo radicale, e dalla semiconfessione fatta al padre. Perché scrivere sui proiettili una sorta di messaggio? Diretto a chi? Il futuro morto non avrebbe potuto leggerne nessuno. Tylor Robinson si baloccava soltanto con quelle scritte, gongolando per il prossimo omicidio al culmine di un’orgia narcisistica, oppure circoscriveva la propria appartenenza a un gruppo per sé, per il suo gruppo quale che fosse, per il mondo? Per tutti o per qualcuno in particolare? Probabilmente, non lo sapremo mai e ignoriamo se ne è conscio lui stesso. Riflettiamo sul momento scelto per l’omicidio. Sapere di poter rivedere il proprio atto clamoroso e di poterlo replicare a piacimento, con un semplice click, rappresenta per l’autore dell’atto la celebrazione della propria potenza. Aver sconfitto la tranquillità di una massa ampia come quella che abbiamo visto nella ripresa e fantasticare di averlo fatto impunemente, cosa smentita poi dalla realtà, costituisce per una mente distorta il massimo della goduria. Quel filmato avrebbe raggiunto il mondo intero ma avrebbe colpito maggiormente i seguaci di Trump e di Kirk, che sicuramente ne sarebbero rimasti sconvolti profondamente. Tra quei seguaci c’è il padre di Tylor e, guarda caso, è proprio a suo padre che il figlio confessa, o fa comunque capire, di avere ucciso Charlie. Quale vendetta inconscia può essere stata consumata nel distruggere il probabile futuro mito paterno con gli stessi mezzi che questo padre gli aveva insegnato ad amare? Perché, invece di comunicarlo a un “compagno” di gruppo quale che questo fosse - Ehi, vedete come sono stato bravo? Ho fatto quello che tutti voi avreste voluto fare! -, il ragazzo lo “confessa” a mezzi termini o a termini interi a suo padre (ved. nota del 19.09.25), come si dice abbia fatto? Spera che, colpito dall'enormità del suo gesto questi lo apprezzi e lo aiuti, che “scelga” tra il figlio reale e l'ucciso, o desidera invece colpirlo, o ancora vuole entrambe le cose? Dopo l’assassinio T.R. non pensa di consegnarsi, infatti la sua prima reazione è la fuga. Aspetta forse di vedere cosa farà il dio della sua infanzia? Che dopo un omicidio l’assassino pensi di uccidersi, come pare abbia
detto Tylor Robinson, lo sentiamo ripetere spesso e il più delle volte non
ci appare credibile. Eppure, in questo caso, potrebbe essere in linea con il
resto; la vendetta affettiva sarebbe stata compiuta interamente. |
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14 Settembre 2025 |
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NOTA del 19.09.25 _________________________________________________________
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lunedì 23 giugno 2025
LA COSTANTE INCOSTANZA DI TRUMP
L’ANSIA del
PRIMO PIANO PERMANENTE |
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Un commentatore – non ricordo più quale - si è dissociato dal parere espresso su Repubblica da Bremmer, secondo cui l’attacco all’Iran ordinato da Trump sarebbe stato dettato dal suo Ego. La contestazione si basa sull’idea che il presidente statunitense in realà non si muoverebbe da solo, ma avrebbe intorno consiglieri politici che nella circostanza attuale lo avrebbero sostenuto nella scelta. L’argomentazione mi sembra debole. Se è vero che Trump agisce di concerto con i suoi consiglieri, allora tali esimi signori avrebbero dovuto sconsigliarlo quando ha basato la sua campagna, nonché il suo primo affacciarsi sulla scena da 47º presidente, sbandierando l’assoluta certezza che avrebbe fatto cessare i conflitti armati nell’arco di 24 ore soltanto. Trump ha un Ego smisurato e non c'è altra motivazione profonda che lo muove. Chi lo ha consigliato e sostenuto ne è stato consapevole sin dall’inizio e lo ha scelto proprio per questa caratteristica che lo rende manovrabile a piacimento. Gli stessi interessi economici di Trump sono subordinati all’aura di grandezza di cui vuole fregiarsi a ogni costo. Essere il primo, il più grande se non addirittura l’unico, almeno quanto a visibilità. C’erano guerre in corso? Allora, per distinguersi e regalarsi una qualche unicità, si è dichiarato in grado di generare immediatamente la pace. Qualcuno aveva già provato a ribattezzare il Golfo del Messico o a includere negli USA il Canada e la Groenlandia? No? Perfetto, lui lo annuncia. Non ha portato la pace né in Ucraina né in Medio Oriente? Allora l’uso di un super bombardiere di primissimo impiego si rivela un promettente veicolo per la sua unicità, cosicché non sapremo mai se Netanyahu ha utilizzato Trump o se Trump ha utilizzato Netanyahu. Del resto cambia poco, a uno così basta lasciar intravedere una VETRINA MONDIALE, un qualche PRIMO PIANO PERMANENTE per ottenere il suo appoggio incondizionato. C’è da aver paura di Trump? Sì, ma solo se, prima che qualcuno del suo
stesso Paese lo rovesci, avrà tempo per qualche altra prodezza. Un primato, d’altra parte, lo ha già. È il presidente più macroscopicamente incostante della storia. “Nessuno sa quel che farò» è la sua cifra. La dichiara, ne è fiero e, per paradosso, del tutto stabilmente la mantiene. Immagine: link pixabay.com/it |
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24 Giugno 2025
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